Commissionata dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto "A. Belli" la nuova opera del nostro docente di Composizione, Mario Guido Scappucci.

Nuova versione del mito ovidiano su libretto  di Gino Nappo, "Euridice e Orfeo" sarà diretta da Marco Angius con la regia di Giorgio Bongiovanni.

La "prima" assoluta andrà in scena il 13 settembre con repliche nei due giorni successivi.

Mario Guido Scappucci:

L’opera rappresenta la proiezione psicologica del mondo interiore della protagonista che, riordinando progressivamente i propri ricordi, giunge alla consapevolezza del suo stato di trapassata. Per tutta la prima parte Orfeo è un personaggio immaginario, quasi onirico, un’emanazione del mondo interiore di Euridice, evocato per mezzo di una voce, quella del vero Orfeo, proveniente da uno spazio parallelo e inaccessibile. Egli è, dunque, un fantasma per lei, tanto quanto ella lo sarebbe per lui, se non fosse che la drammaturgia, completamente costruita a partire dal punto di vista di lei, impone all’essere vivente dei due l’esclusiva natura spettrale. È soltanto in un secondo momento che Orfeo si definisce come personaggio autonomo e può cominciare un vero dialogo con Euridice. Questo si sviluppa in una serie di crescendo che portano al crollo di lui e, di seguito, alla sezione drammaticamente più importante: un lungo intermezzo strumentale, struggente e spaventoso, in cui dallo sguardo dell’uomo ella ottiene la rivelazione del proprio stato. Segue l’aria di lei e il duetto finale.
Ma, soprattutto, la verità degli dei. Ecco: non voltarsi durante il viaggio di ritorno alla vita, sarebbe stato l’unico modo di impedire ad Euridice di riconoscere il proprio stato. Il terrore della vita è la barriera invalicabile che impedisce ad un’anima morta di farvi ritorno. E la legge della caducità di tutte le cose, il segreto della poesia e della bellezza, scioglie in puro lirismo il finale dell’opera.

Gino Nappo:

Come affrontare oggi un mito (anzi il mito per eccellenza, quello di Orfeo ed Euridice) in un testo per musica? Pur ribaltando la prospettiva classica, e lasciando alla sola protagonista femminile il ruolo di guida nell’azione, è impossibile evitare il gioco delle assonanze, dei rimandi e delle citazioni. Troppo presente e intensa l’eco dei versi di Rinuccini e Calzabigi. Dunque settenario sia, lasciando alla musica la responsabilità di frammentare o affabulare, bisbigliare o urlare, declamare o tacere. La genesi particolare del libretto è legata al continuo accavallarsi di suggestioni reciproche tra musica e verso. Punto di partenza il suono degli archi in lunghe fasce di armonici, il verso dei grilli in una notte estiva, voci lontane nello spazio e nel tempo che di volta in volta riappaiono nel sogno o nel ricordo. Il nome reiterato di Euridice (sussurrato, gridato o cantato da Orfeo) catalizza i ricordi di lei, li porta a riaffiorare, in un gorgo oscuro e doloroso. Ma quando, finalmente, Euridice torna a ricordare e a riconoscere Orfeo, si accorge della spaventosa estraneità dell’uomo. Si enfatizza qui, rispetto al mito primigenio, l’incomunicabilità dei protagonisti, e il fallimento del cantore, perseverante in una concezione dell’arte come fascinazione e magia. La nuova verità di Euridice è la lezione che alla fine ella regala a un Orfeo doppiamente sconfitto: una volta assaporato il silenzio, non si torna né alla musica, né alla parola.

Giorgio Bongiovanni:

La realtà è un’ombra. E niente è più reale di un’ombra. In questa alternanza e sovrapposizione di idee si gioca l’ennesima e ulteriore riscrittura del mito di Orfeo ed Euridice. Ma questa volta il punto di vista è quello di lei, dell’ombra che non ha coscienza della propria condizione incorporea e addirittura percepisce il corpo e gli occhi di un altro essere “vivente” come entità indefinita proveniente dal regno dei morti. Un rovesciamento di ruoli, insomma, in cui una Euridice trapassata si sente e si comporta come “viva” davanti ad un Orfeo presente solo come ombra, pensiero, emanazione. Fino all’abbraccio finale in cui i due amanti provano a ricongiungersi; ma proprio l’impossibilità di questo gesto, del contatto fisico tra corpo e ombra, rivela l’incolmabile distanza delle due nature, l’impossibilità del ritorno alla vita. Euridice può continuare a “vivere” nel suo mondo astratto, spoglio, desertico, popolato solo di ombre, di ricordi, di pensieri e suoni, ma per lei fisicamente reale. E lascia a Orfeo (e a tutti noi) l’illusione di vivere in un regno dei viventi fugacemente reale ma, proprio per questo, profondamente effimero.

 


Il Teatro Lirico di Spoleto continua nella ricerca musicale offrendo ancora una volta il proprio palcoscenico a nuove creazioni di teatro musicale appositamente commissionate.

 

La storia del Teatro lirico sperimentale è costellata di collaborazioni con registi e direttori d'orchestra come Luca Ronconi, Ugo Gregoretti, Gigi Proietti, Giorgio Pressburger, Alvaro Piccardi, Piera Degli Esposti, Stefano Monti, Franco Ripa di Meana, Henning Brockhaus, Denis Krief, Lucio Gabriele Dolcini, Gabbris Ferrari, Pippo Delbono, Alessio Pizzech, Marco Carniti, Giorgio Bongiovanni, Francesco Manara, Luciano Giuliani, Paolo Centurioni, Angelo Persichilli, Umberto Benedetti Michelangeli, Spiros Argiris, Massimiliano Stefanelli, Romolo Gessi, Carlo Palleschi, Massimo de Bernart, Bruno Aprea, Franco Capuana, Ottavio Ziino, Nino Rota.